Il TAR Lombardia , sezione prima, con sentenza n.109/2022, dirime una questione afferente la possibilità da parte di un professionista sanitario non immunizzato di poter esercitare liberamente la professione.
Il ricorrente lamentava il contrasto della norma impositiva dell’obbligo vaccinale con il diritto euro-unitario e convenzionale, in particolare con l’art.3 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. e con l’art.8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché con il principio di proporzionalità, oltre che la violazione degli artt. 2,3,13 e 32 della Costituzione.
Tuttavia, nell’analisi della questione, in ordine alla legittimità dell’obbligo vaccinale temporaneo, il TAR sottolineava che l’articolo 8 della CEDU, per come interpretato dalla Corte EDU, giustificava la legittima interferenza nel diritto al rispetto della vita privata, a condizione che il trattamento sanitario obbligatorio avesse una base legale, fosse finalizzato alla realizzazione di uno scopo legittimo e costituisse una misura necessaria per la realizzazione di quello scopo.
L’iter argomentativo del TAR Lombardia approda, dunque, a seguito di una minuziosa disamina di tutti gli interessi da garantire, a ritenere che il fine primario perseguito dalla legge, ovverosia, la tutela della salute pubblica e il diritto del singolo di ritrarre dal proprio lavoro un compenso che fornisca le risorse necessarie ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, debbano essere all’esito del raffronto tra i benefici per il raggiungimento dell’interesse primario ed i sacrifici per gli interessi personali, entrambi equamente salvaguardati evitando, altresì, che ciascuno ne possa uscire inutilmente frustrato.
Pertanto, rimane fermo l’obbligo del datore di lavoro – ove possibile- di adibire il lavoratore a mansioni diverse e/o inferiori, senza decurtazione della retribuzione, nonché di adottare le specifiche misure di prevenzione igienico-sanitarie, previste per il contenimento del rischio di contagio sui luoghi di lavoro.
Il demansionamento, dunque, ben possibile per i lavoratori subordinati, tuttavia creerebbe delle disparità di trattamento rispetto ai lavoratori autonomi, che si troverebbero inutilmente gravati da un provvedimento di sospensione dall’attività, nonostante il crescente bisogno di professionisti del settore sanitario e, in tutta evidenza, nella pacifica possibilità di poter esercitare “a distanza” almeno alcune forme embrionali di consulenza (si pensi alle c.d. “prime diagnosi”).
Il TAR osserva, infatti, che nell’ambito delle professioni sanitarie, esistono delle attività, praticabili grazie alla tecnologia sanitaria, che il personale sanitario può svolgere senza necessità di instaurare contatti interpersonali fisici, sulla base di referti disponibili nel fascicolo sanitario telematico e per fornire un’immediata e qualificata risposta alla crescente domanda di informazione sanitaria, le quali non potrebbero essere svolte in caso di sospensione dall’esercizio della professione sanitaria.
L’ordinamento ricollega infatti allo svolgimento di attività per le quali è richiesta l’iscrizione in un albo professionale, nell’ipotesi in cui questa sia stata temporaneamente sospesa, conseguenze di notevole rilievo sotto il profilo disciplinare, civile (ai sensi degli artt.2041 e 2231) e penale ( art.348).
La sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportino comunque il rischio di diffusione del contagio non può dunque coincidere con la sospensione dall’iscrizione all’albo professionale, ancorché la vaccinazione sia stata elevata a requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati; ritenuto che una tale imposizione collimerebbe con il diritto dell’Unione europea, dov’è nato il concetto di Green pass, in cui si afferma il principio secondo cui le misure per perseguire l’interesse pubblico devono essere proporzionali e adeguate. (fonte filodiritto.com)