Ecco, ci risiamo. L’Italia è fuori dal mondiale, anche stavolta: terza volta in assoluto, seconda di fila. Ma se la Svezia era perlomeno una squadra con un minimo di tradizione e blasone (seconda ai mondiali del ’58, terza nel ’94, semifinalista ad Euro ’92), per la Macedonia niente di tutto questo. Certo, da un lato la nazionale che è stata (ed è) di Goran Pandev ha partecipato agli ultimi europei itineranti e si è tolta lo sfizio di battere la Germania nelle qualificazioni, ma è pur sempre la formazione numero 67 del ranking mondiale. Una vergogna per una squadra che soltanto a luglio scorso era campione d’Europa.
Oggi, ancor più di ieri, si capisce la portata di quell’impresa. Da un lato sicuramente meritata per lo spirito, l’abnegazione e per certi versi anche la qualità di alcuni. Ma sotto altri lati anche parecchio fortunata, con episodi che pure hanno girato a favore. Fortuna che è venuta meno da settembre in poi, mista a qualche assenza pesante che ha anche ridimensionato la qualità della squadra: senza Chiesa, Spinazzola e Bonucci hai perso una parte consistente della spina dorsale della squadra. Perché non hai alternative credibili. Per non parlare dell’attacco: sprovvisto di punte vere, in grado di fare gol. Convocare Joao Pedro, lo dicevamo in tempi non sospetti, è la classica mossa della disperazione. Lo sarebbe stato anche l’inserimento di Balotelli che, malgrado tutto, peggio di chi c’era ieri non avrebbe potuto fare.
Se il giudizio si limitasse soltanto all’ultima partita, diremmo che il gioco c’è stato, ma senza riuscire a finalizzare. E che la Macedonia abbia segnato sull’unico tentativo utile ma efficace. In realtà la nazionale a partire da settembre è diventata pian piano l’ombra di ciò che era questa estate: sfortunata, imprecisa, qualche volta leziosa. E poi quel pareggio con la Bulgaria e quei due rigori clamorosamente sbagliati contro la Svizzera. Fosse andato in rete almeno uno su due, parleremmo d’altro.
E se si fosse andati ai mondiali i problemi sarebbero rimasti. Queste situazioni li accentuano. Nel 2017 non era tutta colpa di Ventura, nel 2022 non è malgrado tutto tutta colpa di Mancini. Esonerarlo non è la cosa migliore da fare, le alternative sono pietose: con lui semmai bisognerebbe riprogrammare un nuovo corso, facendo largo a novità giovani e che scalpitano, anche dalle serie inferiori. Il sistema ora deve essere in grado di scovare i talenti, coltivarli. Non è neppure una questione di stranieri: abbondano anche all’estero. A fare la differenza è la mentalità: puntare sui giovani del vivaio, gettarli in mischia subito. L’under 21 spagnola ha già giocatori da caratura internazionale. L’Italia no.
Nicolato dice: “Ora ci tocca pescare anche dalla C” beh, non sarebbe un male. A questi livelli ci sono tanti calciatori che hanno tecnica e potenzialità per emergere. Ma spesso passano inosservati. Nella nazionale del 2006 diversi calciatori sono passati proprio da qui: uno su tutti? Grosso.
Il resto dovranno poi farlo le riforme: in quattro anni è cambiato troppo poco. Meno egoismi, più interesse comune. E serve una Serie A maggiormente competitiva: ora è semplicemente imbarazzante e le figuracce in Europa ne sono la conferma, tolte 1-2 formazioni. Sarà davvero almeno questa l’occasione giusta per ripensare seriamente il nostro movimento nazionale? Auguriamocelo, perché in caso contrario le umiliazioni sono soltanto all’inizio.
DOMENICO BRANDONISIO