I capolista decisi da Giuseppe Conte, il resto delle candidature selezionate dagli iscritti del M5s online. Potrebbe essere una soluzione di mediazione a sbloccare nei prossimi giorni la decisione sulle liste del Movimento, che potrebbe finire per presentarsi alle prossime elezioni praticamente in solitaria. Luigi Di Maio lo colloca “all’estrema sinistra”, da Sinistra italiana arriva per ora l’unica sponda, oltre a quella di Leu che spera ancora nella ricomposizione dell’alleanza con il Pd. La prima campagna elettorale da leader si sta già rivelando ricca di rebus per Conte.
Da un lato rischia l’isolamento, dall’altro il suo appeal sarebbe ancor più importante se il Movimento dovesse correre da solo. Uno dei suoi vice, Riccardo Ricciardi, immagina per lui un ruolo da Me’lenchon all’italiana, «perché parla a chi non ha voce», ha spiegato al Fatto quotidiano. Al momento parlare di un progetto di federazione a sinistra è difficile quanto una improbabile riconciliazione con il Pd. Ma in politica mai dire mai: il peso dei voti del M5s potrebbe tornare utile al centrosinistra più avanti, se dalle urne non dovesse uscire un risultato netto. Di certo la proposta del Movimento parte dal documento di 9 punti presentati a Mario Draghi prima che la crisi portasse il governo al capolinea. Il resto della strategia è legato alle scelte sui mandati e sulle candidature. L’intervento con cui Beppe Grillo ha ribadito che il limite di due mandati è «la luce nella tenebra», potrebbe segnare l’uscita dal Parlamento di 5 Stelle di primo piano come Roberto Fico, Paola Taverna, Vito Crimi, Riccardo Fraccaro e Fabiana Dadone. La partita non è chiusa, anche se Conte, domenica a La Stampa, ha spiegato che le persone rimaste nel Movimento «sono pronte a lavorare con noi comunque vada». L’idea del leader resta quella di derogare per una manciata di parlamentari di sua fiducia. Ed è circolata anche l’indiscrezione di un posto da capolista in Puglia per Rocco Casalino, suo portavoce quando era a Palazzo Chigi. Ricostruzioni «senza attinenza con la realta’», ha smentito Casalino, precisando che su liste e candidature «nulla è stato ancora deciso». Rischia di restare deluso chi si aspettava una riedizione pura delle parlamentarie, definito nel 2018 da Grillo «un metodo democratico e all’avanguardia” in contrasto con quello degli altri partiti che “decidono nelle segrete stanze». «Era un’altra epoca…», taglia corto un dirigente del M5s. Ora i tempi sono anche decisamente più stretti. E andrà organizzata rapidamente la soluzione di mediazione che si profila, sulla falsa riga delle elezioni europee del 2019, quando si usò la piattaforma Rousseau per selezionare i candidati, dando la possibilità all’allora capo politico Di Maio di scegliere i capilista. Oggi Di Maio è su un altro fronte.
«Il partito di Conte è diventato di estrema sinistra, e il centrodestra è un’alleanza di estrema destra. In mezzo c’è l’alleanza dei moderati, noi che dobbiamo dare un’alternativa al Paese, anche nel solco dell’agenda Draghi», è la tesi del leader di Ipf, anche lui in attesa delle mosse del Pd e costretto ad accelerare la marcia elettorale del nuovo gruppo che, come al Senato, potrebbe usare il simbolo del Centro democratico di Bruno Tabacci. Intanto Di Maio è finito nuovamente in questi giorni nel mirino di Grillo e di Alessandro Di Battista. «Li vedo un po’ nervosi, hanno capito come sempre di aver sfasciato tutto – ha osservato -. A Grillo vorrò sempre bene, di Conte ha detto cose peggiori».