CIG a 35 gradi

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Caldo eccessivo? Le imprese possono chiedere all’Inps il riconoscimento della Cig ordinaria quando il termometro supera i 35 gradi. Ai fini dell’integrazione salariale, però, possono essere considerate idonee anche le temperature percepite. È quanto riporta una nota dell’Inps. Provvedimento per prevenire le patologie da stress termico, così da ridurre il rischio di infortuni sul lavoro legati alle temperature eccessive.

A nessuno piace lavorare sotto temperature torride. Piace pensare che le nostre imprese, abbiano un diffuso rispetto verso i lavoratori e che questo si traduca in accorgimenti efficaci a temperare il sacrificio di operare sotto il caldo forte. Parliamo di turni brevi con pause frequenti, rotazione tra gli addetti nelle postazioni maggiormente esposte, disponibilità di protezioni e di acqua. Ci aspettiamo anche dei distinguo in base all’età e alle condizioni fisiche, per evitare o minimizzare l’esposizione di coloro meno forti.

L’auspicio è che quindi tale provvedimento non venga abusato e distorto.

Guardiamo all’utilizzo pratico. Se ci si trova su un cantiere esposto al solleone nelle ore più calde, forse è il caso di suonare la campanella e fermare tutto, almeno fino a dopo le 17. Se il lavoro deve assolutamente andare avanti, si può pensare a una sospensione, per poi prolungare l’orario nel tardo pomeriggio. Di questo però non c’è traccia nelle disposizioni, che si limitano alla possibilità di fermare le lavorazioni, anche temporaneamente nel corso della giornata, potendo ricorrere al sostegno della Cigo. Secondo l’Inps l’azienda deve chiederlo con una relazione tecnica, indicando le giornate di sospensione o riduzione delle attività, specificando il tipo di lavorazione in oggetto.

Un appunto si può muovere sulla temperatura, 35 gradi, individuata come unico indicatore, senza accenno all’umidità. Tra 35 gradi in una giornata secca e 29 gradi con umidità del 95% sappiamo tutti cosa preferire. E sappiamo anche che gli effetti sul corpo umano sono ben diversi, in relazione alla disidratazione e alla circolazione.

Ma queste diventano disquisizioni evanescenti, visto che la temperatura c’entra fino a un certo punto. Innanzitutto, l’impresa non deve produrre indicazioni sui gradi, perché sarà direttamente l’Inps, nella sua efficienza, ad acquisire direttamente i bollettini meteo. Indipendentemente dalle temperature rilevate nei bollettini, l’Inps riconosce la cassa integrazione ordinaria anche in base alla temperatura «percepita» nel solco del relativismo imperante e politically correct, per cui «il corpo è mio e la temperatura la decido io». Un sistema italianissimo e forse ispirato al famoso spot: «Anto’, fa caldo».

Ma come la mettiamo con i lavoratori autonomi? 

Negli ultimi tempi questi tipi di provvedimenti lasciano aperti ragionevoli dubbi verso una chiara matrice discriminatoria verso i possessori di partita IVA. Quancuno potrebbe suggerire un indennizzo anche per loro. Sulla base di quali criteri però? Il principio del lavoratore autonomo è sempre quello. Il tempo è denaro, e come si quantifica un indennizzo economico a fronte di un mancato guadagno per uno stop da stress termico? Qualcun’altro potrebbe affermare che il lavoratore autonomo è libero di gestirsi da solo il suo tempo, a differenza del lavoratore dipendente. 

Intanto un lavoratore autonomo, all’interno della sua attività è morto a seguito di un colpo di calore che lo ha stroncato. 

Bisogna quindi interrogarsi se un provvedimento del genere sia un’opportunità di crescita del sistema lavoro, oppure si deve parlare di un diritto alla salvaguardia della salute sul lavoro. Perché se è così, allora bisogna tutelare qualsiasi categoria di lavoro, anche il panettiere che cade a terra stecchito, per aver appena infornato il suo pane. 

Oltretutto interroghiamoci anche sulla tutela dei lavoratori dipendenti, in un campo di patate ed in miniera. Siamo sicuri che rivolgiamo le stesse attenzioni? 

Il caldo torrido, seppur eccezionale nella sua forma, è ciclico. Le temperature odierne se confrontate con le estati pregresse, anche tornando indietro di decenni, ci accorgiamo che sono le stesse. Ed i morti per il caldo ci sono sempre stati. Perché allora continuare sull’onda post COVID, sfornando gettito continuo di denaro pubblico? 

È estate. Basterebbe allungare le ferie, e per non fermare in molti casi le varie produzioni, permettere nuove assunzioni, come? Abbassando la pressione fiscale alle aziende. 

Qualcuno potrebbe obiettare che le nuove assunzioni sarebbero temporanee e solo sostitutive per il personale in ferie. Perché le aziende pubbliche non lo fanno? Basta pensare all’Amtab a Bari, che assume autisti per mezzo di agenzia esterna, nei mesi estivi, per permettere i turni di ferie ai propri dipendenti. Una municipalizzata che ha buchi economici molto consistenti, continua ad allargare il suo buco. 

Allora prima di lanciare critiche alle imprese, si rifletta sul fatto che un provvedimento come la Cig appiattisce il sistema lavoro, mentre ridurre la pressione fiscale aumenta le possibilità di lavoro per tutti. 

In Italia ci si perde nei meandri dei diritti, al punto da non riconoscere più che un lavoro lo si conquista soprattutto con il merito. 

 

Giuseppe Romito

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